venerdì 11 gennaio 2013

Non da soli...

di Paola Incerti (Redazione "Proposta Educativa" rivista Capi dell'AGESCI)
Educare se stessi, non educarsi da soli. Il ruolo delle regole e degli adulti nel modello scout.

Nella mia professione di insegnante, molte volte mi è capitato di cogliere nelle parole dei genitori una certa difficoltà a comprendere quale sia il ruolo che, in quanto adulti, viene chiesto loro di esercitare nella relazione educativa con i propri figli.
Non intendo qui affrontare quali siano le ragioni che stanno all’origine di questo disagio mi limito a riferire alcune delle frasi più emblematiche e significative. “Io non gli impongo niente, deciderà lui, lo lascio libero di scegliere, lo farà se vorrà”. O viceversa “Mio figlio/a fa quello che decido io, poi, quando avrà 18 anni e sarà maggiorenne…
E’ come se un ragazzo oscillasse fra questi due estremi: è già un adulto, anche se magari ha solo dodici anni, ed allora viene spontaneo chiedersi che cosa ci stiamo a fare noi adulti intorno a lui, oppure è una persona che non sa prendere alcuna decisione, ma che improvvisamente, per una misteriosa congiunzione astrale, il giorno del suo diciottesimo compleanno si sveglierà adulto nello stesso letto nel quale si è addormentato minorenne la sera prima.
Che cosa penserà di questi adulti che, fino alla sera prima, hanno deciso per lui e che oggi lo accolgono da pari nel loro mondo?
L’avventura della vita interpella personalmente ognuno di noi, ma è molto faticoso affrontare tutto questo da soli e sentendosi soli. I ragazzi/e sono capaci di sostenere serenamente la responsabilità della loro crescita o non hanno piuttosto bisogno di qualcuno e di qualcosa che offra loro occasioni per mettersi alla prova, per sbagliare, per ripensare alle proprie esperienze e per diventare così consapevoli del proprio cammino?
Come ci si sente quando si avanza senza punti di riferimento, senza un orizzonte dal quale ci si può anche allontanare, ma che comunque è ben presente di fronte a sé?
Che cosa succede quando uno si rispecchia esclusivamente con se stesso, con le proprie capacità, ma anche con i propri limiti?
E’ a questo che penso quando rifletto su quello che nel gioco dello Scoutismo va sotto il nome di autoeducazione.
Quando parliamo o scriviamo di autoeducazione siamo consapevoli che i ragazzi/e si autoeducano, ma sono da soli, o noi educatori (genitori e capi scout) intendiamo lasciarli soli, in questa avventura?
Il ragazzo/a è il protagonista , anche se non l’unico responsabile, della propria crescita ed è quindi il primo educatore di se stesso. Cresce però all’interno di una comunità, ha “Promesso” di osservare la “Legge scout” che lo orienta e lo sostiene nel suo crescere, ha accanto a se dei compagni di strada. Tra questi ci sono anche, “insieme con i genitori”, i capi, adulti che, con la sapienza che viene dal cuore, con affetto e intelligenza offrono strumenti ed occasioni per mettersi alla prova e per diventare un uomo o una donna con le loro peculiarità.
Non bisogna dimenticare in proposito che è sempre necessario accompagnare il ragazzo/a, incoraggiarlo e responsabilizzarlo maggiormente nel portare avanti i propri impegni, affinché non li abbandoni alla prima difficoltà o alla prima proposta apparentemente più allettante e gratificante.

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