venerdì 15 novembre 2013

I CAPI SCOUT DELL'AGESCI SI RADUNANO PER IL CONVEGNO FEDE: "Voi chi dite che io sia?"





«La società italiana sta vivendo mutamenti culturali profondi, che riguardano anche la fede. La famiglia non sembra più capace del primo annuncio evangelico, e anche la prospettiva multireligiosa è una novità per il Paese: sentiamo il bisogno di sperimentare linguaggi nuovi nella trasmissione della fede».

Così Marilina Laforgia, presidente del comitato nazionale di Agesci (Associazione guide e scouts cattolici italiani), spiega perché dal 15 al 18 novembre 2.500 capi scout si radunano per il convegno Ma voi, chi dite che io sia?

Qual è l’obiettivo dell’incontro?

«Aiutare i capi a stare nella complessità del cambiamento. L’urgenza è far sì che Cristo continui a interrogare i giovani di oggi».

In Italia (dati Iard) solo il 15 per cento dei giovani fra i 18 e i 29 anni si dice praticante. È proprio vero che la fede non interessa più?

«Nel nostro lavoro con bambini e ragazzi fra gli 8 e i 20 anni troviamo ancora fedi profonde, radicate. Un immenso potenziale di bene anche per il futuro della Chiesa: bisogna solo dare ai giovani occasione di esprimersi. Nei confronti dei ragazzi Agesci ha poi una grande potenzialità: siamo percepiti come un’associazione primariamente laica, anche se siamo saldamente inseriti nel tessuto ecclesiale».

Come si trasmette la fede con il metodo scout?


«Il metodo scout è esperienziale: sperimentiamo la fede con l’esperienza, attraverso la scoperta, il contatto con il creato, le relazioni e l’ascolto. Il cammino di spiritualità accompagna ogni nostra attività, tant’è che molta terminologia Agesci, dal capitolo al noviziato alla veglia, richiama la vita monastica. Utilizziamo poi la pedagogia della gioia, la forza della squadriglia in cui i più grandi aiutano i più piccoli. Ancora, la strada è l’immagine stessa della vita e del maturare gli atteggiamenti che costituiscono la vita del cristiano: il sentirsi sempre in cammino cogliendo ciò che è essenziale, il non sentirsi “padroni della propria vita” ma persone responsabili e capaci di dono, ascolto e scelta».



Vivere la fede in una dimensione comunitaria è un sostegno per i ragazzi?

«Certo, la dimensione della comunità in cammino, che è poi paradigma dell’ecclesialità, dà forza e orienta il singolo. Viceversa, il gruppo trae forza da ciascun membro».

Prevedete riti che scandiscono la vita di fede dei ragazzi?

«Ogni momento di passaggio all’interno del cammino scout ha un grande significato spirituale e di crescita interiore. La Partenza, il momento in cui il giovane decide che è pronto a lasciare la comunità e vivere in pienezza i valori della fede, della scelta politica (l’impegno come cittadini attivi) e del servizio, è esemplare. Ma anche quando, a 11 anni, il lupetto diventa esploratore, sperimenta un momento di sintesi del proprio vissuto e accoglie l’azione di Dio nella propria vita».

Quali sperimentazioni di trasmissione della fede state portando avanti?


«Ad oggi la narrazione, ovvero lo sperimentare come la fede sveli il racconto autentico della nostra vita. La Bibbia, in fondo, è la grande biblioteca della storia dell’uomo e della sua ricerca di Dio. Quando gli educatori condividono il racconto della propria fede, i giovani sentono che quanto viene narrato li riguarda direttamente. Narrando si scatena stupore, perché nella narrazione si producono nel piccolo le cose meravigliose che vengono promesse, e si sollecita la decisione, il coraggio di riorientare la propria vita».

Ad accompagnare i ragazzi sono gli assistenti ecclesiastici ma anche, e innanzitutto, i capi...

«Ci sono sacerdoti che hanno lasciato un’eredità spirituale e culturale enorme allo scautismo. Mi riferisco ad esempio a don Andrea Ghetti, protagonista dello scautismo clandestino (il fascismo impose l’abolizione dello scautismo, ma alcuni giovani portarono ugualmente avanti il proprio impegno di educatori, ndr), a don Giorgio Basadonna, che ha ideato la spiritualità della strada, e, più di recente, a don Peppe Diana, in prima linea nell’educazione e ucciso dalla camorra».

Cosa chiedete ai capi, in ambito fede?

«Di essere testimoni di speranza, persone disposte ad accrescere la propria fede e a capire come meglio suscitare la fede nelle nuove generazioni».

Come si pone Agesci nei confronti di ragazzi di altre fedi o non credenti?

«Accogliamo tutti, ma non rinunciamo all’annuncio del Vangelo».

Nel 1986 Giovanni Paolo II partecipò alla Route nazionale Rover e Scolte (17-20 anni) dei Piani di Pezza, in Abruzzo. Cosa ha lasciato quell’incontro?

«Un grande senso di appartenenza reciproca fra gli scout e la Chiesa. Ricordo il momento in cui mettemmo il fazzolettone scout al collo del Pontefice: in quel modo, simbolicamente, Giovanni Paolo II abbracciò gli scout, e gli scout confermarono il loro far parte della comunità cristiana, in un reciproco farsi carico del cammino della Chiesa».



Ad agosto 2014 si terrà una nuova Route nazionale, inviterete papa Francesco?

«Le parole di Francesco ci interpellano ogni giorno... Certo che l’abbiamo invitato, speriamo con tutto il cuore che possa esserci».


CREDERE N.33 - 17/11/2013
Testo di Laura Bellomi
Foto di Francesco Caocci


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